Recensione: Frankenstein di Mary Shelley

Cari lettori, ben trovati:) Come vi avevo preannunciato nell’ultimo post, ritorno solo dopo qualche giorno, causa ferie meritate (eccome, se sono meritate!). In ogni caso, ho approfittato degli ultimi giorni, neanche a dirlo, per leggere. E sono qui per darvi la mia opinione su uno dei romanzi che ho letto e che, diciamoci la verità, aspettava da fin troppo tempo di essere aperto (a questo riguardo, nel menù c’è una nuova pagina, lo Scaffale della Vergogna. Se volete assistere a un po’ di sana auto umiliazione, favorite pure).

Ma ecco la mia opinione su Frankenstein di Mary Shelley.

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 Nel 1816 Lord Byron, durante una sera tempestosa nella sua villa a Ginevra, propone ai suoi ospiti – Mary e Percy Shelley, e William Polidori – di scrivere, per gioco, un racconto dell’orrore. Ricollegandosi al mito di Prometeo, Mary scriverà Frankenstein. Una storia che è un groviglio etico, un ragionamento profondo sull’origine della vita: l’angosciante storia di uno scienziato che conduce macabri esperimenti nel tentativo di restituire la vita ai cadaveri. Una favola terribile capace di imporsi con la forza delle immagini e la sua autonomia di mito universale. Uno sconvolgente racconto dell’orrore in cui il mostro è più umano del suo creatore.

Autore: Mary Shelley

Casa Editrice: Mondadori

Numero di pagine: 272

Voto: 5.75/10

Consigliato? Si, per i numerosi e interessanti spunti di riflessione e per la conoscenza di uno dei pilastri della letteratura dell’orrore.

Pubblicato nel 1818, la fama di questo piccolo romanzo ha attraversato i secoli, ispirato varie trasposizioni e segnato la cultura popolare del nostro tempo. L’unico altro romanzo di questo genere (letteratura dell’orrore e del terrore) che abbia avuto un simile impatto sul pubblico è stato il Dracula di Bram Stoker, dal quale però l’opera di Mary Shelley si discosta totalmente.

Tramite una narrazione che utilizza vari espedienti stilistici – la corrispondenza epistolare del comandante Walton con la sorella fa da cornice alla vicenda raccontata al capitano stesso da Victor Frankenstein, che offre anche lo spazio al Mostro di narrare parte delle vicende – la Shelley ci propone una storia che basa il suo orrore sulla portata dell’ambizione umana e sulle sue infernali conseguenze.

Giovane e brillante scienziato in erba, Victor Frankenstein porta i suoi studi fino a giungere alla vetta più ambita dall’uomo: quella della creazione della vita, su diretta imitazione di Dio. Ciò che crea, però, ha intrinseca in sè la fallibilità umana e l’essere che Frankenstein assembla con pezzi di cadavere (!) e a cui poi darà la vita è ben lontano dal modello iniziale. E così come Dio creò l’uomo a sua immagine e somiglianza ma ebbe solo una pallida ombra di sè stesso, così il Mostro creato da Frankenstein assomiglia solo vagamente (somiglianza che contribuisce solo a renderlo ancora più terrificante) all’uomo e si configura invece agli occhi del lettore come uno dei primi zombie (se non il primo in assoluto) della letteratura Occidentale.

Come spesso accade con i classici – che sono definiti tali soprattutto per quello – Frankenstein non si limita a raccontare una storia, ma presenta moltissimi spunti di riflessione.

⌈…⌉ Come faccio a impietosirti? Nessuna supplica ti convincerà a guardare con occhio benevolo la tua creatura, che implora da te bontà e compassione? Credimi, Frankenstein: ero buono; avevo l’anima traboccante d’amore e umanità: ma non sono forse solo, disperatamente solo? ⌈…⌉

Volume secondo, capitolo 2, pagina 124

Se la coscienza Ottocentesca elegge Frankenstein a narratore ed eroe della storia, Mary Shelley compie un piccolo passo verso la modernità (un passo, purtroppo, ancora troppo breve per dare reale soddisfazione) e ci offre anche il punto di vista della Creatura. Creato e disdegnato, la Creatura (priva di nome per tutto il romanzo) si aggira ingenua in un mondo che fin dall’inizio le si rivela ostile e che non ha da offrirle che paura e disgusto. La Creatura, che ha dentro di sè un umanissimo bisogno di compagnia e amore e che brama l’attenzione umana, si scontra fin troppo presto con la crudeltà dell’uomo, ma mantiene – in una fase iniziale, almeno – intatta la sua purezza, fino al rifiuto più doloroso. Da notare, però, come il raggiungimento della consapevolezza di sè sia direttamente proporzionale alla nascita della sua infelicità.

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Dai de Lacey. che spia per mesi e che diventano una sorta di famiglia per lui nella sua solitudine, apprende a parlare e comincia a focalizzare vari concetti quali “ricchezza” e “ceto sociale”, mentre quello di “bruttezza” e “bellezza” nascerà da solo nel suo inevitabile confrontarsi con questi esempi di umanità privilegiata. Punto focale della sua ascesa all’autodeterminazione è la lettura. Dapprima vede Felix leggere la Bibbia e non capisce; osservando, intuisce che i suoni che i suoi amati vicini usano per comunicare hanno anche una trasmissione scritta. Grazie alle lezioni di lingua date a Safie e a dei libri trovati casualmente in un baule, arriva al culmine del suo percorso, quello in cui l’innocenza inizia a cedere il passo alla consapevolezza e all’angoscia:

⌈…⌉ Non ti so descrivere l’effetto di quei libri (I dolori del giovane Werther di Goethe, Le vite parallele di Plutarco, Il Paradiso perduto di Milton, N.d.R.). Produssero in me un’infinità di visioni e sentimenti nuovi, che talvolta mi portavano all’estasi, ma più spesso mi trascinavano nello sconforto più profondo.

⌈…⌉

Leggendo, comunque, mi concentrai a fondo sui miei stessi pensieri e sulla mia condizione. Mi sentivo affine e al contempo stranamente diverso dagli esseri di cui leggevo e di cui ascoltavo le parole. Li compativo e in parte li capivo, ma la mia mente non era pronta; non dipendevo da nessuno, non ero legato a nessuno. “Il sentiero dal quale me ne sarei andato era sgombro” e nessuno avrebbe pianto la mia fine. Il mio aspetto faceva ribrezzo, la mia statura era gigantesca: perchè? Chi ero, io? Che cosa ero, io? Da dove venivo? Dove ero diretto? Mi ponevo continuamente queste domande, senza trovare risposta.

⌈…⌉

Ma Il Paradiso perduto provocò emozioni diverse e molto più profonde. Lo lessi come avevo letto gli altri libri che mi ero trovato tra le mani, credendolo una storia vera. Risvegliò tutti i sentimenti di meraviglia e sgomento che la visione di un Dio onnipotente in lotta con le sue creature poteva provocare. Colpito dalle somiglianze, rapportai spesso le varie situazioni del libro alla mia. Come Adamo, io non sembravo avere alcun legame con altri esseri  viventi, ma per il resto le nostre situazioni erano di gran lunga diverse. Lui era nato dalle mani di Dio come una creatura perfetta, felice e ricca, circondata dalle attenzioni particolari del suo Creatore; gli era permesso conversare e acquisire sapere da esseri di natura superiore. Io, invece, ero disperato, indifeso, solo. Più volte feci di Satana il vero emblema della mia condizione, perchè spesso, come lui, alla vista della beatitudine dei miei protettori io assaggiavo l’amaro fiele dell’invidia.

⌈…⌉

“Maledetto il giorno in cui mi fu data la vita!”, esclamai, disperato, “Maledetto creatore! Perchè hai generato un mostro tanto ripugnante da cui persino tu ti sei allontanato pieno di disgusto? Dio, nella sua pietà, fece l’uomo a sua immagine, bello e affascinante; ma il mio corpo è la brutta copia del tuo modello, e la stessa somiglianza lo rende ancora più orribile. Satana aveva i suoi compagni, altri diavoli, che lo ammiravano e lo incoraggiavano; ma io sono solo e aborrito“.

Volume secondo, capitolo 7, pagine 157-158-159

Il passo culminante dell’autodeterminazione della Creatura è dunque il momento in cui colloca sè stesso in un’ottica più ampia di “Io” ma si inquadra nella vastità del mondo e si rende conto che non può dire un “Noi”. Cresce quindi, ancor più lacerante di prima, la solitudine e l’infelicità. Ogni suo tentativo di approcciare l’uomo fallisce e il rancore per quell’eterna inadeguatezza scatena la sua furia e, ancora peggio, la sua vendetta.

Il racconto della Creatura è uno dei passi più efficaci di un romanzo altrimenti scialbo. Qua sentiamo la tragedia della Creatura e dell’uomo moderno, che soffre nel suo isolamento emotivo e che ferisce per placare – senza in realtà riuscirci – la sofferenza che sempre lo accompagna. Ho già affrontato in vari articoli ciò che comporta per la sua società il suo abbandonare un individuo a sè stesso, dal momento che credo che sia una delle cause di maggior sofferenza per l’uomo di oggi. Frankenstein, che dà la vita alla sua Creatura e poi la rifiuta, la abbandona indifesa in un mondo ignoto e deve poi pagare un’amara ammenda per le sue azioni. Giustamente, a mio parere. Ancora una volta a dimostrazione che spesso i mali che ci piombano addosso non sono causati da altri che da noi.

Altro punto fondamentale è l’importanza della cultura, e dei libri in particolare. Se ad Adamo è proibito assaggiare il frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male, e il suo trasgredire alla regola ne comporta la cacciata dal giardino dell’Eden, speculare è la vicenda della Creatura che, pura, si accosta alla conoscenza (i libri) e si vede cacciato da quel limbo di beatitudine che è spesso l’ignoranza. Necessario per il suo percorso di crescita è anche l’attimo fatale in cui la Creatura apre gli occhi su un mondo di sentimenti più alti e, come Adamo vede la propria nudità e se ne vergogna (ma solo dopo aver mangiato la mela), solo dopo aver cominciato a leggere e a capire il linguaggio la Creatura scopre la sua inadeguatezza in un mondo che non gli è simile (o, meglio, a cui lui non è simile) ma di cui fa parte, e se ne vergogna. L’unica differenza è che Adamo viene tentato dall’ambizione e dalla disubbidienza, mentre la Creatura “cade” per il suo desiderio di accettazione, di omologazione.

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Michelangelo Buonarroti, Cappella Sistina, Peccato originale e cacciata dal Paradiso terrestre, 1510 circa

⌈…⌉ “Ogni uomo trova una moglie per il suo cuore!”, gridò, “e ogni animale ha la sua compagna, e solo io devo essere solo? ⌈…⌉ Tu dovresti essere felice mentre io mi piego sotto il peso della disgrazia? Potrai incenerire ogni altra passione, ma la vendetta mi resterà: la vendetta, d’ora in poi più preziosa della luce e del cibo! ⌈…⌉”

Volume terzo, capitolo 3, pagina 207

Rifiutato anche l’ultimo sprazzo di compassione, Frankenstein non si merita che l’odio e la vendetta della sua Creatura, che lo eleggerà a capro espiatorio di tutta la sofferenza causatagli dall’umanità. Viene allo stesso tempo a crearsi un legame di sangue e odio fra le due parti, che li legherà indissolubilmente fino alla fine del romanzo. Rimasti entrambi soli – ognuno artefice della solitudine dell’altro – diventano il simbolo di un’unione forzata con ruoli simili e alterni: preda e cacciatore, schiavo e padrone, con un eterno scambio di ruoli, finchè per Frankenstein non esisterà più che la Creatura, e viceversa.

Nonostante il forte messaggio, il libro non mi è piaciuto. Il suo problema fondamentale, a mio parere, è la noia che si trascina di pagina in pagina, con una breve eccezione per il racconto della Creatura, che non prende comunque un gran numero di pagine..

L’altro punto che ha causato il voto finale (di cui un po’ mi dispiace) sono i personaggi che, con la sola eccezione della Creatura, sono stereotipati e poco approfonditi. Si salva parzialmente Frankenstein, ma solo per il suo rapporto con la Creatura.

Il libro procede un po’ a rilento, con lunghe descrizioni ambientali che, per quanto suggestive, occupano fin troppo spazio.

In sostanza, come già detto, un libro molto interessante per le riflessioni che offre, che non riescono però a bilanciare la piattezza assoluta di un libro che dovrebbe essere invece inquietante e dinamico.

E con questo è tutto, ragazzi. Come al solito ho scritto fin troppo, ma questo libro mi ha molto ispirata (basta vedere quante citazioni ho riportato). Piccola nota, infine, per l’edizione Oscar Mondadori: economica (sui 9€), con un’introduzione di Muriel Spark molto interessante e una copertina (l’immagine che ho trovato, purtroppo, non le rende per nulla giustizia) bellissima, dove trionfano i toni del verde che, neanche a farlo apposta, è il mio colore preferito.

Un saluto a tutti, alla prossima 🙂

 

 

 

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